venerdì 1 febbraio 2008

Amici carissimi,

eccomi di nuovo qui, con un lavoro che - sono sicuro - sarà dichiarato il disco più originale dell'anno. La voglia di confrontare le mie parole e i miei silenzi di oggi con il vostro saluto dal salumiere, senza il quale ogni virtù sembra una puzzola, è tornata. E' tornata questa voglia come l'urlo di Munch. Quel riaffacciarmi al vostro balcome come un cane voglioso di coccole. Quell'aspettare quell'attesa vincente, capace di proclamarmi l'artista piu' originale dell'anno, come un treno per sempre perduto, come una frattura dovuta a un tuffo sbagliato. Eccomi a voi questa volta senza vestiti, li ho dovuti vendere per far fronte ai debiti dei dischi non venduti, però ho indossato le tende buone del salotto, senza macchie, a parte un po' di sudore asciugato al vento che mi porta in Africa. Erano anni che desideravo fare un lavoro così originale, ma ogni volta mi veniva impedito da intoppi fraterni. Un lavoro come questo è come saltare i gradini e arrivare giù direttamente dal balcone. Di colpo ti ritrovi a fare i conti con tutte le ossa rotte, la gola, il petto, gli occhi, le labbra, la pelle. Trovare in un lavoro non tuo quella bellezza che tu da solo non sei mai riuscito a raggiungere e chiederti perchè gli altri sono più bravi. Trovare nel lavoro di un altro quello che tu non sei capace di fare. Ed eccolo l'ombrello capace di attutire la mia caduta. Questo lavoro per me è davvero importante perchè senza di esso non avrei proprio saputo che pesci ... ehm ... che nuvole ... pigliare. L'obiettivo principale di questo lavoro è di tessere un filo e farne dei vestiti in modo da non continuare a girare nudo. Speriamo che tutto vada bene perchè le mie corde vocali sono state colpite dal fuoco e si sono accese. Ed ecco "La canzone del successo perduto". A dispetto del titolo, questa non è una canzone, ma è una bandiera dell'urlo di Mhang ... ehm ... di Munch. Così tutti gli altri titoli. Quando consonanti e vocali si confondono insieme e raggiungono fino al soffitto le mosche intrappolate, la luce che cade dagli occhi, a ricordare i migliori anni della nostra vita già passati. Vi prego, miei prodi fan, ascoltate in silenzio, senza fare rumore, e poi costruitemi un altare. Nel brano "La stagione dell'orrore", il mio urlo raggiunge una vetta così alta da riuscire ad acchiappare tutte le nuvole. E così voglio continuare per sempre. P.S. Scusatemi, il mio psicologo mi ha chiesto di mettere su carta i pensieri che faccio durante i miei sogni.

1 commenti:

Erigo Nirb,  19 febbraio 2018 alle ore 02:53  

ah ah ah aha ha ah ah ah, simpaticissimo, presto un bel comunicato ritrovato, di quando scriveva le parole degli altri e devo dire che è altrettanto profondo, come un pensiero solido la mia mi puzza ed è un gran caldo il sole nascera, ora ( con stecca) che tu sai ora ( peggio mi sento) che a modo mio avrei bisogno di carezze anche io.
E penso che il problema fosse, insieme a qualche vittoria al " monopoli" proprio quello, per le royalties di quando Jannacci nominò l'innominato in un suo pezzo. O no ?

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